“La Gnr e la Muti sgherri dei tedeschi.” Fu eccidio, non rappresaglia

Due i piloni su cui il procuratore militare della Repubblica di Torino Pier Paolo Rivello ha poggiato la sua richiesta di condanna a vita per Theodor Saevecke: le dettagliate affermazioni dei sopravvissuti, oltre alle numerose testimonianze raccolte subito dopo la Liberazione dall’Ufficio investigativo alleato che hanno descritto il clima di terrore e le torture che accompagnavano gli interrogatori e la vasta documentazione che ha dimostrato come nella tragica operazione “vi sia stato un totale scavalcamento delle autorità fasciste italiane (...) ed una ideazione e preparazione provenienti direttamente dall’Ausennkommando di Milano”.
Questo in sintesi il percorso della requisitoria:
  • Primo L’eccidio di piazzale Loreto non fu una rappresaglia perché l’esplosione di viale Abruzzi dell’10 agosto 1944 non fece vittime fra i militari del Reich.
  • L’istituto della rappresaglia, ha ricordato il Pm, secondo la costante dottrina internazionalista, si fonda sull’attribuzione allo stato, vittima di un illecito, della possibilità di aggredire gli interessi dello Stato autore dell’illecito internazionale.
  • Occorrono poi criteri di proporzionalità e di rispetto dei valori umani, condizioni carenti nell’eccidio del 10 agosto.
  • Secondo L’eccidio non costituì una “repressione collettiva” come è disciplinato dalla Convenzione dell’Aja del 1907. Detta norma si inserisce all’interno di una serie di prescrizioni che disciplinano misure di natura meramente patrimoniale. Deve dunque ritenersi che la sanzione collettiva non possa colpire persone fisiche e tanto meno provocarne la morte.
  • Terzo Saevecke è responsabile di “violenza con omicidio plurimo” come previsto dal codice penale militare di guerra, avendo provocato la morte di cittadini italiani “che non hanno preso parte ad operazioni militari”.
  • Quarto Le circostanze attenuanti generiche sono inapplicabili e, nell’eventualità di un riconoscimento delle stesse, non si possono ritenere prevalenti o equivalenti alle aggravanti. Il numero delle vittime (15) e le modalità dell’evento lo escludono.
  • Quinto Il reato non è prescritto dal momento che per la sussistenza della crudeltà e della premeditazione, la pena prevista dalla legge è quella dell’ergastolo. “Affinché l’istituto della prescrizione risponda alle ragioni di opportunità politica - ha ricordato il Pm Rivello - è necessario che si sia quasi perduta la memoria del fatto criminoso o che l’allarme sociale da esso suscitato, sia scomparso.”
    Ciò non è accaduto, tanto che “il ricordo di piazzale Loreto è destinato a rimanere imperituro presso tutto il popolo italiano”.
Ma non basta tener conto della gravità del delitto: occorre valutare la capacità a delinquere che assume livelli elevatissimi se si fa riferimento all’epoca dei fatti, all’uso della tortura ed attualmente, “alle frasi minacciose contro il Pubblico ministero inquirente contenute nel memoriale difensivo dell’imputato”.
Un indubbio rilievo hanno avuto inoltre le affermazioni dell’imputato secondo cui durante la repressione antipartigiana non sarebbe stato compiuto tutto quanto era possibile fare, il che dimostra “l’assoluta mancanza di una rimeditazione in chiave autocritica del passato”.