“Trasferiti per Bergamo” Ma andavano alla morte

L’annotazione sul registro-matricola di S. Vittore
Il colonnello Giovanni Pollini, comandante provinciale della Gnr di Milano, aveva ricevuto la sera del 9 agosto 1944 l’ordine del comando tedesco di mettere a disposizione per il giorno successivo un plotone di militi della Rsi da utilizzare per la fucilazione di quindici ostaggi “in base al recente bando del maresciallo Kesselring”.
Il bando prevedeva l’esecuzione di dieci ostaggi per ogni vittima tedesca. Ma nell’attentato all’autocarro della Wermacht alle 8.15 dell’8 agosto 1944 in viale Abruzzi, spunto per la carneficina di piazzale Loreto, non era deceduto nessun tedesco: i sei morti ed i dieci feriti erano stati tutti italiani. Che senso allora aveva richiamare l’ordine di Kesselring e per quale ragione il capitano Theodor Saevecke si era rivolto al colonnello Walter Rauff, responsabile della Sipo-SD dell’Italia nord-occidentale perché strappasse al generale Willy Tensfeld, comandante generale delle SS, l’autorizzazione per una feroce repressione?
Apparentemente nessuno. Ma fra i tedeschi aleggiava in quei giorni il terrore di una prossima insurrezione popolare ed occorreva replicare con un’ulteriore escalation di segno terroristico dopo le precedenti fucilazioni di Greco, Robecco e del campo Forlanini. Ai fascisti a quel punto non era restato che ubbidire, interpretando il ruolodi freddi esecutori, vincolati com’erano, a loro volta, da una circolare del comandante generale della Gnr Renato Ricci che imponeva, se fosse stata richiesta, la collaborazione coi comandi germanici di piazza “per gli impieghi di polizia militare”.
A nulla era servito il preoccupato attivismo del capo della Provincia Piero Parini, il quale aveva tentato invano di mettersi in contatto con i comandanti tedeschi nel tentativo di impedire l’eccidio e, nello stesso tempo, di salvare gli ultimi brandelli di credibilità della vacillante sovranità repubblichina. Tutti si negarono, Saevecke compreso.
Era fallito anche il tentativo, sempre di Parini, di inviare in nottata il comandante Pollini dal colonnello Kolberck, responsabile militare della piazza di Milano,“per fargli presente che le vittime di viale Abruzzi erano tutte italiane e che se rappresaglia si fosse fatta anche le autorità italiane dovevano esprimere il loro avviso”.
Alle 5 del mattino del 10 agosto Pollini aveva informato il capo della Provincia che Kolberck non si era fatto trovare.
Più o meno negli stessi momenti i quindici morituri stavano per lasciare San Vittore. Nel “Pro memoria per il Duce” Parini aveva riferito che gli ostaggi erano stati svegliati alle 4.30 ed in cortile avevano consegnato a ciascuno una tuta per dar loro l’illusione della partenza per il lavoro in Germania.
Sul registro del carcere era apparso annotato: “Trasferiti per Bergamo”.
Dal diario di Ottavio Rapetti, un giovane di 21 anni detenuto a San Vittore, si era saputo che Vitale Vertemati era apparso conscio della prossima fine: “Entra la guardia con un milite e chiama la matricola 2742- scrive Rapetti - E’ la matricola Vitale. Si alza mortalmente pallido, ci guardiamo negli occhi. Ha capito. Vedo che ha molto coraggio.
Ci abbracciamo e dice di salutare sua madre”.
Corpi espostiI quindici prigionieri (il criterio della loro scelta, a parte la comune matrice politica, resterà ignoto, anche se in un primo momento era stato stilato e comunicato con manifesti murali e con i giornali un elenco di ventisei persone da eliminare, fra cui anche una
donna di 50 anni) arrivarono in piazzale Loreto alle 5.45 dove ad attenderli c’erano un ufficiale tedesco con quattro soldati. Il colonnello Pollini assistette alla disordinata esecuzione dei quindici martiri disposti a semicerchio, affidata ad un plotone misto della Gnr e della Legione autonoma “Ettore Muti”. Ci fu chi come Eraldo Soncini, un milanese di 43 anni, tentò una disperata fuga ma venne raggiunto dai colpi dei fascisti in una casa vicino alla chiesa di via Palestrina. Per ordine tedesco i corpi rimasero sul terreno, esposti fino al pomeriggio inoltrato. Scrisse il capo della Provincia Parini per il duce: “Cominciarono a transitare per piazzale Loreto gli operai che si recavano al lavoro e tutti si fermavano ad osservare il mucchio dei cadaveri che era raccapricciante oltre ogni dire perché i cadaveri erano in tutte le posizioni, cosparsi di terribili ferite e di sangue. Avvenivano scene di spavento da parte di donne svenute e in tutti era evidente lo sdegno e l’orrore”.

Uno spettacolo tremendo che avrebbe dovuto servir da monito, piegare la Milano antifascista.